TRATTURI E TRANSUMANZA:
PATRIMONIO DELL'UMANITA' - 24 settembre 2005 |
L'intervento di Maurizio
Fiorenza
Buon pomeriggio e benvenuti in terra lucolana.
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Se la Nazione
vanta la presenza dell’Accademia della Crusca, associazione di
studiosi della lingua italiana, alla quale vanno attribuiti
importanti meriti, quali, ad esempio, la creazione dei primi
dizionari di lingua italiana di influenza nazionale, Lucoli può
vantare l’istituzione dell’Accademia della Renna. |
Ovviamente, l’Accademia
della Renna non è altro che una riproposizione in chiave ironica
dell’Accademia della Crusca, tanto che lo stesso termine “renna”, è la
traduzione in dialetto lucolano di “crusca”.
Possiamo dire che l’Accademia della Renna è un’entità virtuale, poiché è
una rubrica, ospitata dal sito
Que Nova News,
dove Que Nova sta per Che Novità - Que Nova.
Lo scopo dell’Accademia della Renna non è soltanto quello di ironizzare
su tematiche letterarie, quali, ad esempio, la poesia e la critica
letteraria. L’Accademia si è posta come obiettivo quello di ipotizzare
un’alter ego lucolano dei poeti scelti.
Chiedendosi, ad esempio: come sarebbe stato Gabriele D’Annunzio se fosse
vissuto a Lucoli? Avrebbe trattato le stesse tematiche? Avrebbe
utilizzato un linguaggio diverso?
Seppur in chiave ironica e dissacratoria, l’Accademia lucolana può già
vantare il meriti di aver avvicinato i giovani a tematiche quali,
appunto, quella della transumanza.
In che modo?
La satira è spesso relegata al ruolo di mera offesa, o semplice beffa.
In realtà, dietro c’è ben altro. Perché per ridere di una cosa, prima di
tutto, bisogna conoscerla.
E trattare un argomento, anche in chiave ironica, equivale a diffondere
una conoscenza (più o meno seria).
L’Accademia della Renna si è occupata della transumanza, con il
componimento dell’ipotetico poeta lucolano Gabriele Panuntu.
Ji pecoraji
de Gabbriele Panuntu
Jièmo è Settembre. E’ tempo de migrane.
Mo’ ‘n terra de Lucoli ji pecorai me’,
lassànu ji stazzi e se nne vaû agliu mare,
calànu agli’Adriaticu servaggiu,
che è verdi comme ji prati ‘ella montagna.
Haû tantu bijiùtu alle funti nostre,
che ju sapore ‘ell’acqua lucolana
remane ‘entro a quiji côri esuli e lontani,
tantu che gli pare de non tenè cchjiù sete pe’ la via.
Se so’ refatta ‘na bella mazza ‘e nocchia,
e vaû pe’ ju trattùru anticu, ‘n pianu,
do’ so’ passati ‘nnanzi padri e nonni.
Sinti! E' la ‘oce degliu pecorale,
che pe’ primu vede ju mare da lontanu.
Mo, affiancu all’acqua camìnanu le pecore,
l’aria è carma, mancu nu suffiu ‘e vento.
Ju sole rallùmena la lana
che sembra quasci de color de sabbia.
Ju remòre marinu se confonne
co’ quijiu ‘elle pecore ‘n camminu.
Ah! Comme ‘olèsse esse pecora pure jì,
caminà’ pe’ ju trattùru e ji agliu mare!
Come si addice ad una vera
e propria associazione di critici letterari, l’Accademia della Renna si
occupa anche di elaborare dei commenti di critica esplicativa, ed è da
sottolineare che tali commenti, anche se ironici, prendono spunto da
avvenimenti o usanze locali autentiche.
Critica esplicativa AdR
Ah! Comme ‘olèsse esse pecora pure jì,
caminà’ pe’ ju trattùru e ji agliu mare!
I poeti, si sa, più si allontanano dalla realtà per inseguire l’utopia
della pura arte, più prendono spunto dalle scenette quotidiane, terrene,
vere. Cos’è la pura arte se non raccontare la vita di ogni giorno in un
modo così aulico che sembra essere tutt’altro?
Sugli ultimi versi del componimento I pecoraji sono state fatte le più
alte e complesse riflessioni teoreticofilosofiche.
Mera rarefazione concettuale!
La nostra è una ricerca empirica che parte dai campi, dalla terra e
dalla gente che animava l’ambiente lucolano al tempo del componimento.
Raccogliere i racconti, le dicerìe, per poi applicare la tecnica della
nota critica strutturalista, basata sulle fondamentali operazioni di
scomposizione e ricomposizione, ovvero ritaglio, astrazione, delle
notizie e successivo assemblaggio di esse.
L’arte è ciò che l’uomo mette in essa!
Dunque, procediamo con la spiegazione del verso, basandoci su un fatto
realmente accaduto.
Nei primi anni ’40, a Casavecchia di Lucoli abitava una ragazza, che al
passaggio dei camion, trasportanti pecore, era solita dire:
“Biat’a bu pecore, che se mettete agliu camiu e jiete a Roma! No’ me
potesse fa pecora pure ji! Me mettarria agliu camiu e jiesse a trova’
zia Tirrisina!”.
Mettendo da parte la chiave ironica, i pastori lucolani, partivano
realmente alla volta del Tavoliere delle Puglie e credo sia giusto
ricordare un fatto accaduto nell’inverno del 1578; quando un pastore
lucolano, Felice Cavalcante, rinvenne nel bosco di Ruo, nel Borgo Tre
Santi in provincia di Foggia, un’immagine mariana.
Al ritorno della massaria, la statua lignea fu trasportata a dorso di
mulo.
L’intento era di portarla all’Abbazia di San Giovanni Battista di Lucoli,
ma una serie di accadimenti fecero si, che la statua restasse sul
territorio di Roio, dove nel 1625 la chiesuola venne ampliata e prese il
titolo di Santuario di S. Maria della Croce.
Va ricordato, inoltre, la devozione dei pastori locali a questa Madonna
di Roio, i quali portavano con se dei quadretti raffiguranti l’immagine
della Madonna definita “la Madonna della Transumanza”.
A questa devozione ne va affiancata un’altra ed è l’amore per la Beata
Cristina da Lucoli che visse tra il 1480 ed il 1542.
Sembra che i pastori lucolani portassero con se una piccola scultura in
gesso, raffigurante la Beata Cristina, contenuta all’interno di una
bottiglietta in legno;
scultura oggi riproposta da un’artista locale “Gianfranco Micarelli” di
Casavecchia di Lucoli, che fu pubblicata su La Rassegna Lucolana dal
Prof. Francesco Di Gregorio.
Certamente un momento di festa e di grande allegria era il rientro delle
masseria, ciò che si avvertiva allora in questa valle è ben descritto in
un testo pubblicato nel 1985 da un altro lucolano il Prof. Leandro Ugo
Iapadre, editore, scrittore, poeta e testimone vivente della transumanza
dei pastori lucolani, il quale ne “La Massaria” recita:
- ‘Ngilì, davero, s’è rabbiricata
la massaria ‘e Norante: stà alle Peschie! –
- Scia pe’ l’amor di Dio! Se l’âu scampata
bbona, pure quist’anno, ommini e bestie! –
- Dallo pianu ‘ella Puglia, mani mani,
pe’ mille miglia, attrezzi agli tratturi
n’ âu fatte ‘e passa ji pôri cristiani
pe’ rappizzutà’ ecco ji turturi
e repiantà le mandre! Quanti stenti
sotto l’acquazza, sotto le ‘ntemperie! –
- Ma mò che so’ rijunti stâu contenti:
se scordarrâu de tutte le miserie
e, appena sistemati armi ed armenti,
s âu che rivincu a casa apò pe’ ferie.
- ‘N capu d’estate, ‘n tempo de vajnu,
quanno le prata, appena faociate,
te rabbottinu cchiù de ‘n’otre pijnu
l’anema co’ l’essenzie ‘mprufumate,
comme ‘na recorrenza de stagione,
renea la massaria agliu paese
... ... ... ...
… meriterebbe di essere letta tutta, ma
il tempo a disposizione non ce lo consente.
Grazie per avermi ascoltato.
Maurizio Fiorenza
Lucoli, 24 settembre 2005.
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