Ringrazio:
- per aver voluto ricordare P. Gabriele nel suo paese nativo, a venticinque
anni dalla morte: ricordare, però, significa scoprire le orme
caratteristiche lasciate dalla sua persona e cercare di seguirle alla nostra
maniera. Significativo, perciò, mi pare il tema del Convegno: «Conosciamo
P. Gabriele». S. Francesco morente disse ai frati come suo testamento: «lo
ho fatto la mia parte, quanto spetta a voi ve lo insegni Cristo» (2 Cel
214; FF 804). Questo credo dica a noi P. Gabriele.
- Ringrazio per aver invitato me a rievocare una persona a me cara e far
emergere la luce che da essa promana. E per me un onore e un dovere parlare
di P. Gabriele: con affetto riconoscente, con ammirazione sempre nuova, con
impegno di tenerne viva la memoria per proporne l’esempio.
Padre Gabriele, infatti, nei rapporti che ebbi con lui da ottobre 1946 a marzo
1978, lo scoprii sempre di più come religioso coerente, che soffrì l’impegno
della sua fedeltà; studioso acuto e diligente, che illustrò la teologia
della chiesa copta, la realtà del monachesimo egiziano, la storia dei
francescani in Egitto nelle numerose pubblicazioni alle quali consegnò i
frutti delle pazienti ricerche condotte personalmente; maestro esperto, che
seppe comunicare l’entusiasmo per la scienza e guidare gli alunni nella
scuola e quanti l’avvicinarono nel ministero alla scoperta di un più
profondo senso di Dio (cfr. “In Memoriam”, p.7).
Ma ciò fece con molta umiltà: non dà come definitivo quanto è ancora da
provare, non teme di affermare la possibilità che «nuove scoperte possano
imprimere una nuova fisionomia alla presente esposizione»: così scrive
nella prefazione al primo volume della sua opera principale, «Il culto
Mariano in Egitto», p. 5-6 (Cardaropoli, “In Memoriam” p.36)
Ciò apparirà meglio considerando alcuni aspetti della persona di P. Gabriele
che cercherò di delineare e che mi sembrano in consonanza col tema del
Convegno.
1. Anelito verso la vita.
4.1. Si legge nel libro del Siracide (11,29): «Alla morte dell’uomo sono
svelate tutte le sue opere ». Queste parole, che Tommaso da Celano (2 Ccl
214; FF 804) applica a S. Francesco, credo di poterle dire di P. Gabriele.
4.2. Sia nel “depliant” col programma, sia nell’invito sono state riprodotte
le ultime righe da lui scritte. In esse si vede il venir meno delle forze:
due cose mi pare da notare. Nell’ultimo rigo c’è un riferimento all’Abruzzo
da dove gli sarebbe arrivata una «bella esecuzione dello “Sposalizio di S.
Caterina” nella chiesa di Colleromano a Penne » (foto pubblicata nel volume
postumo S. Caterina d’Alessandria, Jerusalem 1978, f.t. dopo p. 40).
L’ultima parola scritta è: wnb=v
nel momento della morte egli scrive un segno e una parola di vita.
Il segno è la croce ansata, o egizia;
proviene da un segno geroglifico wnb che significa “vita”.
P. Gabriele scrive il segno e la parola; riscrive la parola una seconda
volta sottolineandola. Aggiungendo il segno “uguale” = e scrive una “v”
-““ - ( per scrivere “vita”). |
|
Ma deve essere stato in quel momento che si è
verificato il trapasso. Egli aveva scritto, a proposito della croce che «per
i cristiani è nel contempo segno di morte e di vita, ma con il senso nuovo
ed unico: morte di redenzione e vita di elevazione alla grazia e di
risurrezione alla gloria (In Memoriam, p. 10-11).
4.3.Ho pensato a S. Francesco morente che dice al medico: «Coraggio... dimmi
pure che la morte è imminente: per me sarà la porta della vita » (2 Ccl 217;
FF 810). Non ci dice P. Gabriele con quell’ultima parola che «la croce è
vivificatrice» e non ci saluta con le parole della liturgia cotpa: «Vi dico
addio... Che la pace del Signore sia con voi, che vi custodisca e vi
preservi. Che la pace del Signore sia con voi, per perfezionare il vostro
cristianesimo»? (In Memoriam, p. 63).
4.4. Ho letto con commozione ciò che scriveva alla mamma, il 17 aprile 1930,
in occasione della Pasqua: « ...vorrei che Gesù mormorasse all’anima tua una
parola di resurrezione (sic) di vita. Gesù benedetto ti ricolmi delle sue
celesti benedizioni e ti faccia sopportare in pace i dolori dell’esilio
terreno ». E quello che le scriveva due anni dopo (22 marzo 1932), sempre in
occasione della Pasqua: « sento il bisogno per me «tanto dolce del resto»,
di indirizzarvi poche parole di augurio che siano come la rivelazione degli
affetti del mio cuore al vostro riguardo.., vorrei esservi vicino per
manifestarvi la mia tenerezza e provare con i fatti quanto vi amo.» .
5. Dignità signorile e severa.
Le parole scritte alla mamma mi invitano a passare ad un altro aspetto della
figura di Padre Gabriele.
5.1. Con lettera del giorno 8 luglio 1950 esprimeva a me e ad altri due
confratelli, Beniamino e Guido, i suoi sentimenti di gioia e di augurio per
la nostra ordinazione sacerdotale (29/06/1950).
Volendo “conoscere” P. Gabriele credo opportuno e utile leggervi la lettera.
“Carissimi, di ritorno dalla città delle memorie eterne, dalla grande
Alessandria, trovo la lettera di P. Giuseppe, che è lettera di annunzio.
Felicissimo annunzio! Caro al mio cuore, caro al vostro, perché caro al
Cuore di Gesù: Raimondo - Guido - Beniamino Sacerdoti! È così che la terra
si eleva al cielo e dona il respiro dell’anima pura.
Ormai la vostra dignità sacerdotale s’impone, ed io appena oso manifestare
una mia parola reverenziale. Se sacro è il dono di Dio, se sacra è la vostra
persona, sacro pure dovrà essere l’oggetto delle vostre cure, perché Dio ha
donato a voi non solamente per voi, ma anche per gli altri, figli suoi,
fratelli vostri. Non occorre dirlo: a questa sola condizione potrete essere
uomini consequenziali, poiché se l’azione è dall’essere, dall’essere sacro
dovrà derivare l’azione sacra. A questa condizione sarete tutti di tutto il
Cristo: capo e membra, mentre siete capo col Capo, membra colle membra, per
comunicare alle membra la vita del Capo, per elevare al Capo il gemito delle
membra. Un pochino come la Vergine Santissima ».
In queste parole io vidi e vedo sempre più le linee della vita coerente di
P. Gabriele e ripenso ancora a S. Francesco del quale fu scritto: « quello
che proponeva agli altri nelle sue esortazioni era innanzitutto sua vissuta
convinzione personale » (Tre Compagni 54; FF 1463) e «quello che esigeva
dagli altri con le parole, lo aveva preteso da sé con le opere, perciò non
temeva censori e predicava la verità con estremo coraggio » (LM XII, 8; FF
1212).
5.2. La conclusione della lettera apre un nuovo orizzonte. «O carissimi del
mio ricordo! Un pensiero anche per me uomo del deserto, uomo dell’esilio,
perché anch’io aspiro alla patria. Così, mentre esprimo al vostro presente
il compiacimento del passato e l’augurio del futuro, prego ossequiare i
vostri familiari, i più intimi del vostro mistero ».
Nel necrologio, scritto da P. J. Vasquez in «Antonianum» (53[1978j,
347-354), si legge:
«P. Gabriele col suo talento, con la sua laboriosità, col suo spirito
profondamente religioso onorò il suo sacerdozio e il suo abito francescano;
e onorò pure la sua terra. Sulla facciata dell’edificio ove ha sede
l’Associazione «Figli d’Abruzzo» a Roma figura questo significativo motto :
«Coelum non animum mutant, qui trans mare currunt; l’abruzzese Giamberardini
sotto tutti i cieli e lungo tutti i mari della vita si mantenne fedele alle
nobili virtù native; fu uomo educato, affabile, anche se riservato,
servizievole ma soprattutto inflessibile nell’adempimento del dovere... ».
Il 23 gennaio 1951, per il mio onomastico (allora S. Raimondo di Pefiafort
si celebrava in tale giorno) mi scrisse: «Dalla terra anatolia alla terra
esperia! Oh! La terra del tramonto che isolò il mio cuore e lo espose in
balia dei venti, e lo volse all’occaso! Credevo che voi pure vi foste
dimenticato di chi, forse, merita ogni dimenticanza umana, ma che non
dimentica e tanto ama! Mi fa ricredere la vostra affettuosa letterina che da
poco è giunta alla terra di Oriente, dove nasce i] sole, col nobile
messaggio di sollevare l’anima solitaria, che vive nel deserto e geme, che
guarda il sole e spera. Il cielo è buono più della terra e prodiga il sereno
anche ai cattivi. Io ringrazio il Signore per tutte le pene e per tutte le
consolazioni: quanto più dure quelle tanto più abbondanti.
Poi enumera le gioie: dalla definizione della Madonna Assunta in cielo (1
novembre 1950), alla quale ci aveva preparati e per la quale aveva svolto un
lavoro sul «Valore dommatico della liturgia assunzionista», del quale
benevolmente mi aveva fatto rileggere il testo e correggere le bozze; alla
pubblicazione di un nuovo lavoro su «La teologia assunzionistica nella
Chiesa egiziana». Dalla celebrazione dell’evento al Cairo a quella in
Gerusalemme (8/12/1950) e alle tante consolazioni in Palestina. E rileggo
con commozione che in Gerusalemme si era interessato anche ai miei studi
futuri! E mi informa ancora delle sue pubblicazioni su S. Ilario di
Poitiers. Tutto ciò mi è parso significativo per delineare la figura di P.
Gabriele.
Aggiungo che P. Gabriele amava la sua terra d’Abruzzo; la finissima
sensibilità del suo animo lo portava ad abbandonarsi, a volte, al ricordo
nostalgico dei nostri monti. Dopo il ritiro pasquale alle giovani del liceo
- ginnasio italiano del Cairo, il viaggio di ritorno lungo la riva del Nilo
suscita l’emozione ...: «... intonato il “Va’ pensiero” sulle rive del Nilo
dalle onde sempre placide, una volta adorate, ora benefiche. Fu scritto:
“Super flumina Babylonis... in salicibus suspendirnus carmina nostra”. Ma fu
anche scritto che “il Nilo assorbe le lacrime di ogni anima dolente ed
espande tutti i doni delle sue ricchezze” Sicché nello stesso pianto sospira
l’anima a una nota di canto » (Diario, 30-31 marzo 1950).
Raccontando di un incontro con famiglie siriane, greche e alessandrine in
un’oasi del deserto, scrive: « ... con mia meraviglia, uscì fuori una
scatola di liquirizia abruzzese, di Silvi Marina! Da famiglie orientali in
mezzo al deserto! Così da me e dalla requilizia fu rappresentato l’Abruzzo
(Diario, 25 giugno 1950).
3. Studioso: il metodo di ricerca.
Tutta la vita di P. Gabriele fu impegnata nell’insegnamento, nello studio,
nella ricerca, nell’organizzazione di istituzioni culturali.
Non è possibile dire tutto su questo argomento; mi limiterò, perciò, ad
alcuni aspetti.
5.3. Una grande fede. In due occhielli inseriti in un articolo su « La
Chiesa Copta» (Almanacco di terra santa 1978, Supplemento a «Eco di Terra
santa» n. 6, Milano 1977, p. 9 e 11), si legge: «Sono un camminatore. Un
mattino sono uscito, ancor prima del canto degli uccelli; sopra l’oscurità,
immobile vegliava una Pupilla » (p. 9). «Sono un carnrninatore. Una sera
arriverò dove brillano nuove stelle dove olezza un nuovo profumo; dove due
Occhi sempre mi guardano dolcemente» (p. 11).
Che abbia voluto darci un profilo di sé alcuni mesi prima della morte?
5.4. Un grande impegno di inculturazione. P. Gabriele, in Egitto, prende
subito coscienza dell’impatto con una cultura diversa dalla sua e, anche se
lentamente e con fatica, cerca di immedesimarsi con essa. Egli ricorda ciò
che il Concilio Vaticano I aveva detto riguardo alla formazione dei
sacerdoti latini destinati all’Oriente cristiano. «Il missionario ha da
nazionalizzarsi per quanto può colle popolazioni, in mezzo alle quali
lavora. E in Oriente, lungi dal latinizzare gli Orientali, gli è giocoforza
orientalizzare entro certo limiti se stesso »; egli, infatti, deve fonTiare
dei cattolici e non dei latini. / Impegni del Concilio Vat. I per l’Oriente
cristiano..., «Antonianum» 45 (1970) p. 303-473; per il concetto espresso
vedi p. 381-382).
5.5. Una ricerca fatta “con investigazioni dirette ‘
Una caratteristica interessante è che P. Gabriele, nelle sue pubblicazioni
«documenta ogni sua affermazione con prove convincenti con serietà fino allo
scrupolo e si guarda bene dal dare come definitivo quanto è ancora da
provare; non teme di affermare la possibilità che “nuove scoperte potranno
imprimere una nuova fisionomia alla presente esposizione” (Teologia Copta e
tesi scotiste, p. 8). Perciò non si ferma mai dal fare interviste e gite
esplorative nelle quali « valorizzò e salvò dalla perdita o distruzione
molte cose preziose» (B. Bagatti).
Nel 2001 ebbi la possibilità di pubblicare un suo manoscritto datato: Roma 6
febbraio 1970, dal titolo «Stato attuale e prospettive per il futuro del
Monachesimo egiziano ». Di questo manoscritto erano rimaste inedite la prima
e la seconda parte. Ma è proprio nella prima parte che sorprende la fatica
del ricercatore che vuoi fare investigazioni dirette. Descrive tredici
monasteri maschili e sei femminili e descrive anche la via da lui percorsa
per arrivarci. Si può notare una piccola predilezione per il monastero di S.
Menna: forse il Santo gli richiamava la terra natia?
5.6. Sguardo fisso sull’Egitto con uno sguardo furtivo all’Abruzzo. Gerardo
Cardaropoli parlando del metodo della ricerca di P. Gabriele scrive: «Egli
possiede “la creatività della ricerca “. Egli cioè è riuscito a individuare
ciò che agli altri studiosi sfuggiva».
Non è possibile in questa sede dimostrare ciò nelle sue opere maggiori. Mi
limiterò perciò ad alcune pubblicazioni “minori” che spesso vengono inserite
e ampliate nelle opere maggiori e sono rivelatrici di quegli “sguardi
furtivi” all’Abruzzo che lo portano a collegare ciò che osserva con quello
che sta studiando in Egitto.
a) Visitando il museo della cattedrale di Atri vede il frammento di un
bassorilievo raffigurante l’Annunciazione della Madonna. Nota, però, che la
colomba (= lo Spirito Santo) ha il becco nell’orecchio della vergine. Il
bassorilievo è probabilmente databile al secolo XII. P. Gabriele va con la
mente ad un affresco del V - VI secolo nella remota oasi di Kàrgiah in
Egitto dove la colomba va all’orecchio della Vergine e sottolinea un
possibile rapporto. Prima scrive un articolo su «La voce del Nilo» (25
[1966], 98-101), poi integra il terna, che evidenzia la verginità di Maria,
nel primo e nel secondo volume dell’opera «Il culto Mariano in Egitto » (1,
p. 158; 11, p. 246-248). Stimolato da ciò ho trovato il terna molto presente
nell’arte abruzzese e nell’arte occidentale.
b) Nella Basilica di Collemaggio all‘Aquila viene scoperto un affresco
raffigurante la Morte e l’incoronazione della Madonna e l’apostolo Tommaso.
Il pensiero di P. Gabriele va ad un manoscritto arabo n. 105 conservato al
Cairo e al Vangelo apocrifo di Tommaso, scoperto a Nag Ammadi, in Egitto,
nel 1945 e scrive un lungo articolo per l’Osservatore Romano» (25 giugno
1976, p. 5), ripreso anche nel giornale locale «Abruzzo sette» (2 dicembre
1976, p. 4).
c) Nel Museo Nazionale del Castello dell‘Aquila vi è una sezione numismatica
dove sono esposte le monete coniate dalle zecche dell’Aquila, di Chieti, di
Ortona e di Sulmona. Di fronte alle tipologie multiple delle monete la sua
maggiore attenzione si fermò sulle monete pentacrociate (cioè con cinque
croci) che gli richiamano la “Croce di Gerusalemme”. Mi pregò di far
fotografare le monete e di inviargli le foto: cosa che feci con piacere.
Nell’articolo che pubblicò su «Abruzzo sette» del 5 maggio 1977, p. 3, non
solo illustrò la storia delle monete, ma al riguardo del simbolismo annesso
alla “croce di Terra santa”, volle “rettificare” un’interpretazione assai
diffusa. Non si tratta di un’invenzione dei Crociati, ma di un simbolo che
si trova inciso in pavimenti musivi in Palestina e in altri oggetti sin dal
secolo IV. Egli aveva illustrato un tessuto copto inedito, da lui acquistato
da un antiquario al Cairo nel 1965, sul quale è riprodotta la “Croce di
Terra Santa”. Risalirebbe al secolo VI-VII (Liber Annuus Studii Biblici
Francescani, Jerusalem, XXI (1971), p. 194-204). Il tessuto si trova nel
Museo Francescano Orientale di Tagliacozzo. Il significato del simbolo
sarebbe l’affermazione del Cristo come Re Crocifisso al quale sono
sottomesse le quattro parti del mondo. «Nucleo dottrinale dell’emblema
pentacrociato è l’universalismo cristocentrico».
d) Non solo sulle cose ma il suo occhio si posa anche sulle persone. Su
«Abruzzo sette» del 28 luglio 1977 pubblica un articolo: «Il francescano P,
Antonio dell’Aquila celebre arabista del seicento». Fa risaltare l’operosità
e la competenza del confratello che ebbe molteplici incarichi e pubblicò una
Grammatica della lingua araba, non solo di quella corrente ma anche di
quella letteraria. Tale grammatica per circa due secoli s’impose nelle
scuole. Concludendo l’articolo P. Gabriele ricorda che verso il termine
della vita fu conferito al P. Antonio un titolo onorifico come «degno e
doveroso riconoscimento al grande orientalista abruzzese che, ovunque e
sempre, onorò se stesso e L’Aquila ».
P. Gabriele è ancora maestro: ricordare chi ci ha preceduto per trarne
esempi di vita. Rileggendo l’articolo, però, manifesta la sua esigenza di
precisione. Annota, infatti, ai piedi dell’articolo, con penna rossa:
«Redazione incosciente! Piena di sé, ha rifiutato di sottomettere le bozze
alla revisione dell’autore
4. Un luogo privilegiato e significativo.
Il Santuario della Madonna dell’Oriente in Tagliacozzo è un luogo
privilegiato e significativo nell’esperienza di P. Gabriele.
E come la culla del suo amore per la Madonna qui lavorerà con una intensità
che lo coinvolgeva nel più profondo dell’anima; qui il 5 settembre 1943
iniziava la stesura della sua tesi per il dottorato; qui il 6 dicembre 1949
prendeva « licenziamento » dalla Vergine santissima dell’Oriente prima di
partire per l’Egitto. e qui sostava, quando tornava in Italia, e soprattutto
quando dal 1969 dimorava e insegnava a Roma.
Qui completò il testo della prolusione per l’anno accademico 1977-1978,
letta il giorno 8 novembre 1977 nel Pontificio Ateneo Antoniano. Porta la
data del 25 luglio 1977. Fu l’ultimo suo lavoro pubblicato postumo nella
rivista «Antonianum» (54[1979], p. 559-62 1).
Di questo santuario scrive una storia breve e una illustrazione simbolica
(Roma 1970, p.58).
Nel santuario organizza una Biblioteca con molti volumi di Mariologia e di
orientalismo.
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Per garantire l’appartenenza dei volumi elabora un appropriato
tipo di timbro che così descrive («Orientis Stella », N. 5. 1 - 1974 - n. 4,
p. 2).
«Nell’esergo della semisfera superiore scorre la iscrizione: Biblioteca "S.
Maria Orientale". Nel quadrante sinistro della semisfera inferiore si
aggiunge: Convento Prati Minori; e in quello destro, ripartito da lineette
orizzontali: Tagliacozzo - L ‘Aquila. Al centro del disegno, entro riquadro,
s’impone l’immagine di S. Maria Orientale. |
Le tre stelle all’altezza del
capo stanno a significare, secondo l’antica simbologia orientale, la sua
verginità ante partum, in partu, post partum. Le due sigle greche MP O’y
indicano la sua maternità divina. Il titolo litanico: Sedes sapientiae,
tracciato nello strato intermedio, dichiara la Madonna dell’Oriente Patrona
della Biblioteca e degli Studiosi. Nei quattro interspazi, tra l’iscrizione
dell’esergo e l’immagine della Madre divina, figurano i vari tipi del
materiale utilizzato per la scrittura nel corso della storia: in alto il
papiro, a destra il rotolo di pergamena, a sinistra il libro cartaceo. In
fondo la biblioteca che tutto raccoglie e tutto conserva». Accanto alla
biblioteca realizza un museo orientale. Dico con gioia che le due
istituzioni suscitano l’interesse degli studiosi. Nel «Liber Annuus» dello
Studio Biblico Francescano di Gerusalemme, XLVIII (1968), i Dott. E.
Ciampini e S. Di Paolo pubblicarono uno studio dal titolo «La collezione
egizia Giamberardini in un museo dell’aquilano »; la Dr. Francesca Spadolini
( Via Madonna di Pettino, 34 - 67100 L’Aquila) sta per pubblicare nel
suddetto «Liber Annuus» studi su « La collezione archeologica Giamberardini
». Ringrazio per avernìeh cortesemente fatti conoscere.
Per concludere, un altro motivo di gioia e soddisfazione che certamente lo è
anche per P. Gabriele. Quando era direttore del Centro Francescano di Studi
Orientali Cristiani, progettava la pubblicazione della trilogia fondante
della Teologia della Chiesa Copta. Egli vide pubblicate solo lbn Siba,
Preziosa Margarita, a cura di V. Mistrih, del Centro nel 1966. Poi Abu
al-Barakat (sec. XIV, Lampada delle tenebre per chiarire il servizio
(divino,), (1966 ancora inedito; 1972 edito solo parti) ma poi edito nella
Patrologia Orientale; al Mu’taman, Summa dei principi della religione, ed.
critica di Abullif Wadi’, traduzione italiana di Bartolomeo Pirone,
Cairo-Jerusalem 1998-2002.
Ciò è motivo di gioia: dall’ottimo frutto si pensa all’ottimo seme gettato
da P. Gabriele. (cfr «L’Osservatore Romano », sabato 7 giugno 2003, p. 3)
Conclusione
Nell’ultimo anno che stette in Italia, prima di andare in Egitto, P.
Gabriele ripeteva spesso, specie in momenti difficili: «Fuge in Aegyptum =
Fuggi in Egitto!» Forse ciascuno di noi ha bisogno in certi momenti di un
“Egitto” come rifugio. P. Gabriele visse nei primi tempi con la sofferenza
dell’esiliato “che vive nel deserto e geme”, ma poi “guarda il cielo e
spera” (lettera del 23 gennaio 1951). Scrivendo di S. Ilario di Poitiers,
che era stato alcentro dei suoi studi per la preparazione della tesi di
dottorato, e considerando l’esilio di lui, scrive: « ... la sua relegazione
in terra d’esilio, nella lontana Frigia. Non però inutilmente... Ilario
quanto più si allontana dal patrio suolo, tanto più si rende degno di
avvicinarsi a Dio. E Dio, in premio a lui e a confusione dei persecutori,
trasforma la terra di esilio in fonte di più profonda erudizione, in
ambiente di più redditizio apostolato e in campo di più temibile lotta. Là
l’intrepido Gallo (francese) apprende a perfezionare la lingua greca e può
assimilare mirabilmente la teologia degli Orientali. Là concepisce ed
estende le sue opere maggiori. Là ancora, e ciò va ricordato a suo vanto,
gli si rende possibile di essere il primo in ordine di piena efficienza a
conciliare la cultura teologica greca e quella latina, sino allora
progredite quasi indipendentemente ». Non sembra che P. Gabriele parlando di
S. Ilario, descriva, mutatis mutandis, se stesso? (5. Ilario di Poitiers,
Cairo 1956, p. 14).
Ho cercato di darvi alcuni elementi per “conoscere P. Gabriele”. Vi
ringrazio per l’attenzione e formulo l’augurio che il “conoscere” non si
fermi qui. Scrive Gregorio di Nissa: «Non v’è che un modo di conoscere ed è
tendere senza riposo al di là di ciò che si è conosciuto » (In Cant. hom.
12; PG 44, 1224 BC).
Grazie!
|