Con affetto, e senza nascondere un'ombra d'inevitabile emozione, porgo il mio saluto a Lucoli, al suo Sindaco, all'Amministrazione, ai presenti, agli Amici, tutti, dell'Associazione Mazziniana.
In un incontro in cui la memoria storica, e non solo, è protagonista, dove prendere avvio per questo mio intervento, qui, a Lucoli?
So di non dover chiedere scusa agli amici presenti se, invitata qui a parlare degli Atti del convegno marrelliano (voluto e organizzato in primo luogo da Remo Visione, da Maurizio Volpe e dall'Associazione Mazziniana Italiana in collaborazione con altri enti, e tenutosi all'Aquila tre anni fa), la mia memoria non può non fare una sosta, breve ma intensa e partecipata, sulla figura che, con tutto l'amore per il "natio loco", aveva avviato un ampio e meticoloso studio sulle antiche e talvolta ignote glorie locali, le cui opere giacevano sepolte negli archivi, e a cui questi Atti su Pietro Marrelli fanno continuo e costante riferimento persino in alcuni aspetti esteriori e tipografici.
Parlo del mai dimenticato amico fraterno - se basta questo attributo a rivelate tutto l'affetto che egli ha nutrito per i tanti che siamo qui, e noi per lui
- Francesco Di Gregorio, il "Professore" lucolano, docente dell'Università degli studi dell'Aquila, che per gli oscuri, a noi, misteri del destino è stato precocemente rapito alla famiglia, al paese, agli amici, agli studi, ai suoi allievi.
Francesco Di Gregorio aveva già pubblicato, tra le tante altre cose, per le Edizioni Colacchi dell'Aquila, una nuova edizione del Diario e Lettere alla Famiglia di Pietro Marrelli, con ampio apparato critico e interpretativo mai privo di quel partecipato moto del cuore che sempre era presente negli studi che affrontava; ragion per cui, la mia stessa partecipazione al convegno fu, in primo luogo, allora, un dono alla sua memoria, come lo è oggi, qui, a quasi sette anni dalla sua troppo prematura scomparsa.
Il tempo trascorre veloce; e solo se lo si esamina sulle grandi distanze si possono scorgere i cambiamenti notevoli della umana società; ma i cambiamenti non sono mai un prodotto soltanto di successioni di atti, di azioni, di eventi, di sviluppi materiali e concreti più o meno prevedibili almeno a breve scadenza; essi sono anche il frutto di continui e diversi nutrimenti dell'anima, mai insensibile, questa, al proprio sentire e a quello altrui; un sentire che si fa esigenza di trasmissione e di comunicazione al prossimo in maniera più o meno diretta: ora privata, ora pubblica, ora artistica, ora scientifica; a persone a noi coeve e sintoniche, con le quali si opera; o ipotetiche e lontane, alle quali si vuole lasciare eredità di affetti, di idee, di azioni, che possano essere di esempio, di testimonianza, d'insegnamento, di monito, di esortazione.
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Leggendo, in questi giorni, le relazioni del Convegno marrelliano raccolte negli Atti che oggi si presentano; leggendo le interpretazioni che all'atto del convegno si davano di quei fatti risorgimentali rivisitati e contestualizzati alla luce, anche, degli eventi della storia del momento, che al dischiudersi del nuovo millennio rimettevano in discussione persino la validità o meno della nostra unità nazionale;
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e leggendole, oggi, alla luce degli
accadimenti che stiamo attualmente vivendo (col riscoperto inno nazionale,
con la moneta unica europea, con la quasi identità di vedute e di volontà
tra l'est europeo e l'occidente, con nuove esigenze di crescita e di
tolleranza dovute alla globalizzazione mondiale, con i nuovi pericoli e
problemi impostisi al mondo dopo l'11 settembre e le altre diverse stragi
terroristiche), notavo quanto in questi ultimi anni tutto procedesse veloce
e concatenato, e come alcuni eventi, che al momento sembrano casuali e
imponderabili, siano invece frutto di lunghe, meditate, elaborate, sofferte
progettazioni e attuazioni di chi in un modo o nell'altro, in forma palese o
riservata, è in grado di muovere e sommuovere nel bene e nel male i fili
della storia.
Paragonati alla nostra attuale situazione italiana, incerti, diversi, dolorosi, caotici, eroici furono gli eventi storici vissuti in prima persona da Pietro Marrelli, eroe, insieme ai tanti altri ricordati nel convegno -- come il "farinatesco" Angelo Pellegrini (stupendo questo riferimento al grande Farinata dantesco, altero e orgoglioso sì, ma integerrimo innamorato della sua Firenze), Luigi Dragonetti, Giuseppe Cappa, Filippo Falconio, Giuseppe Pica, Loreto Franci, per nominare solo alcuni degli illustri aquilani di quel momento --, eroi del nostro Risorgimento. Essi, guidati dall'ideale democratico e repubblicano, hanno messo da parte affetti familiari, egoismi di casta o professionali, e talvolta gli stessi propri ideali politici, pur di spezzare le secolari catene della soggezione italiana allo straniero, al prepotente che, laico o clericale, osasse ancora tenere diviso e sottomesso il popolo italiano. Notavo ancora come la corrispondenza marrelliana e i tanti passi più significativi di altre lettere scritte dagli altri nostri eroi o ad essi pervenute da altri fratelli di lotta, e riportati dai vari relatori del convegno come esempio o come punti di argomentazione fossero un'unica viva e palpitante voce, comune testimonianza dei sentimenti, dei progetti, delle rinunzie e delle aspirazioni, dei dolori e delle gioie fugaci, dei timori e delle attese, delle disillusioni e delle speranze dei nostri eroi, i quali, giovani e meno giovani, vivevano in una comune, compatta solidarietà d'intenti e di affetti. La loro voce, eco delle tante altre voci italiane del tempo, strettamente biografiche (come sono per lo più quelle delle numerose corrispondenze epistolari) oppure artistiche (tutto il nostro romanticismo s'identifica con l'idea risorgimentale), e prima che italiane, inglesi e francesi (avendo, queste nazioni, già vissuto le rivoluzioni indipendentistiche, americana prima e francese poi, senza le quali forse non avremmo avuto il nostro Risorgimento, e avendo, queste stesse, già espresso in arte miti patriottici antichi e moderni) [la loro voce, dicevo] è comune a quella di tutti quei popoli che in tempi diversi, in luoghi diversi, in modi diversi, ma come in una perenne indissolubile catena che accresce il numero degli anelli percorrendo il mondo nel tempo, desiderano il riscatto della libertà e della democrazia, forse più difficili da gestire, ma che permette a tutti di esprimere un volere e una volontà, e di raccogliersi intorno ad una realtà comune.
"Libertà va cercando ch'è sì cara / come sa chi per lei vita rifiuta": i versi danteschi che rinviano, prima che a Dante, al Catone Uticense dantesco, quasi ad annullare il tempo storico a favore di quello universale, rispecchiano bene, ancora oggi, pur nella lunga distanza di tempo e di epoche trascorse, gli intenti degli eroi aquilani del nostro Risorgimento, che qui, oggi, la nostra comunità vuole ancora una volta portare a monito di chi vive: degli adulti, perché alimentati dalla fiamma della memoria storica locale non disattendano e non vanifichino il sacrificio e gli ideali dei predecessori; e, soprattutto, dei giovani, perché apprendano come la storia non sia una semplice e meccanica successione di eventi, di date, di governi, di guerre e di pace, ma come essa segua lo sviluppo che noi sapremo darle sulla base anche e soprattutto dell'uso che faremo di quella qualità riservata da Dio e dalla Natura soltanto all'uomo: la memoria. Solo su una corretta e obiettiva memoria storica, locale e mondiale, prossima e lontana nel tempo, si potrà costruire il futuro edificandolo su una sempre più ampia e comune volontà di intese e di attese. E giustamente, la memoria diventa, come scrive Remo Visione nella prefazione degli Atti, "l'obiettivo" primario di questo testo.
E allora, diventa meno importante concepire la presentazione del testo, in questo caso, come resoconto delle singole relazioni, ognuna con un suo specifico argomento che spazia nel periodo risorgimentale, ma con maggiori riferimenti alla fase che include la spedizione garibaldina e la liberazione di Roma, e che vede protagonisti, anche se solo parzialmente vincenti, i nostri eroi democratici e repubblicani della provincia dell'Aquila, tra i primi dei quali vi è il nobile, di animo e d'intenti, Pietro Marrelli, nativo di questa bella vallata lucolana. Di lui, negli Atti, ricostruiscono con puntualità ed acribia, la biografia e, sotto il piano testuale, Le lettere politiche, Stefania Liberatore, e il Fondo Marrelli nella Biblioteca provinciale dell'Aquila, Walter Capezzali. Ai quali si aggiungono le mie riflessioni sul Diario.
Dalle altre relazioni degli Atti, si evince, tra l'altro, l'importanza strategica, organizzativa, sociale ed educativa assunta dal movimento massonico a favore del risorgimento e dell'unità d'Italia, lucidamente trattato e argomentato da Mario Di Napoli. Movimento, quello massonico, che aveva le proprie radici settecentesche in quella Inghilterra che diventa rifugio di salvezza, di ospitalità, di onori per i nostri patrioti (e taccio, non essendo pertinenza dell'argomento, l'ampia letteratura patriottica inglese, dal Preludio di William Wordsworth alle Lettere dall'Italia di Byron, tra le quali spicca proprio una lettera, scritta in italiano, del 1820, agli amici Napoletani, in cui il grande artista offre la sua persona e i suoi danari in nome della libertà dei partenopei dalla "sedicente Santa Alleanza, la quale aggiunge l'ipocrisia al despotismo"; quegli stessi napoletani, che più tardi (come rileva con puntualità argomentativa e col fascino affabulatorio che lo distingue, Raffaele Colapietra, trattando del Carteggio di Angelo Pellegrini acquisito dalla Cassa di Risparmio dell'Aquila) [quei napoletani che, si diceva] quando i tempi saranno maturi dopo la morte di Ferdinando II di Borbone resteranno indifferenti e sordi alle sollecitazioni di libertà nazionale che provenivano loro da ogni parte. Sollecitazioni, alle quali, contrariamente a quanto si è creduto, non restarono del tutto passivi gli esponenti del popolo, come si evince dalla bella e suggestiva relazione dell'onorevole Oscar Mammì che registra tra l'altro, l'alto numero di arresti per reati politici toccati alle più diverse categorie del popolo durante la meteora della sospirata Repubblica Romana.
La memoria. La memoria che vince la morte. Aveva ragione Pietro Marrelli che, memore forse del grande patriota Ugo Foscolo, nella lettera del 20 ottobre 1859, indirizzata proprio all'amico fraterno Angelo Pellegrini per partecipargli la morte del comune amico Francesco Sorace, scrive: "Ma egli non è morto. Muore veramente soltanto colui che non lascia eredità di virtù, di affetti e di ammirazione [..] il suo nome passerà di generazione in generazione. Vive e vivrà nel cuore e nella memoria dei buoni e di tutti quelli che avranno un palpito per i generosi fatti e per le nobili aspirazioni ed imprese".
Egli, Pietro Marrelli e i suoi amici patrioti, sono vivi qui, tra noi oggi; domani lo saranno tra i nostri figli e nipoti, nel rispetto di quella memoria che insegna ed educa.
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