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In questo “incontro di amici
per ricordare un amico” cercherò con buona volontà, ma tanta umiltà, di
tracciare un profilo di Francesco Di Gregorio legato al suo rapporto con
Lucoli, o meglio, con la storia lucolana. |
Una storia antica ed importante, che antecede la fondazione della città
dell’Aquila, visto che la contea di Lucoli partecipò a creare il nucleo
aquilano.
Francesco, molto attento ed orgoglioso del suo paese natio, scrive:
“Pur se Lucoli vanta un numero ragguardevole di personaggi illustri,
nessuno mai – salvo qualche rara eccezione – si preoccupò di scriverne la
storia si che i loro nomi, ancora oggi, suonano nuovi non soltanto agli
uomini di studio ma, come è naturale, anche ad un pubblico più vasto e meno
specializzato.”
E’ il 1967 quando Francesco inizia a menzionare nomi che suonano ignoti e
sconosciuti quasi a tutti.
Fanno eccezione la Beata Cristina, da sempre nei cuori dei lucolani, e
Pietro Marrelli, non fosse altro, per il busto scolpito sul portone della
casa natia al Colle.
In quell’anno Francesco inizia a pubblicare materiale su Lucoli, tramite il
periodico mensile “Dai monti di Lucoli”, di cui è redattore, e don Virgilio
Pastorelli riveste il ruolo di Direttore Responsabile.
Il primo articolo che pubblica ha per titolo “Sul significato della parola
Lucoli“, dove espone le diverse teorie degli storici.
E’ questo, a mio modo di vedere, l’inizio della strada che intende
percorrere.
Ci da prima il significato e l’origine etimologica, per poi via via parlare
della storia e dei personaggi illustri.
Nel 1969 pubblica “Memorie poetiche di Michele Palumbo", Edito da L. U.
Japadre.
E’ la prima volta che l’opera di Michele Palumbo viene resa di pubblica
ragione in modo organico e definitivo. Infatti, se si fa eccezione per
qualche componimento pubblicato in riviste o in pagine di quotidiani, la
raccolta del poeta è del tutto inedita.
Sempre nel 1969 pubblica “ La bella fiamma “ di Daniele Properzi, edito da
L. U. Japadre.
L’opera, è un poema drammatico in quattro atti, ambientato a Collimento
negli anni che vanno dal1867 al 1868.
Nel 1970 Francesco cede alla stampa una raccolta di versetti dialettali dal
titolo “ La Limbarda “, anche se egli stesso dice di non essere un poeta
dialettale.
Afferma ciò, in occasione del ricevimento del premio della Rassegna d’Arte “
Lucoli, colori sulla neve “ nel 1985, cito testualmente:
“il vero e autentico Poeta lucolano è l’amico e professore Leandro Ugo
Iapadre, non certo io che ho scritto pochi versi nell’età giovanile; la
poesia è un’altra cosa, suppongo”
quindi pur non essendo un poeta dialettale decide di pubblicare quei
versetti, che oggi sono molto comuni tra i lucolani.
Credo che egli ritenga questo il mezzo più idoneo per avvicinare la gente
comune ai personaggi illustri, che intende farci conoscere.
Usa quindi il dialetto per essere più vicino, e con tanta poesia trasmette
sentimenti e passioni, per spingerci ad affezionarci a personaggi che sono
lustro e vanto di Lucoli, e con l’intento di spronarci ed incuriosirci a
conoscere le nostre origini.
Cito una poesia per tutte:
RECORDO DE VENANZIO LUPACCHINI
E ssarve a Tti Venanzio Lupacchini,
ome de core rosso e de cultura,
dottore, letteratu,de fattura,
da meritatte riverenze e nchini.
Filosufu,scinziatu,stutiusu
De cose de latinu e italianu,
ji te recordo comme Ucuranu
e ssoio a numinatte so’ ccunfusu.
Ulii bbene pure a gli’animai
E quiu canucciu che ttinii ncore
Te mozzecò pe’ datte tanti guai:
tantu che ddoppo jorni e ppoche ore
tra sofferenze atroci e ppianti amari
la vita te finì co’ gliu dolore.
La Limbarda
si presenta come tante piccole storie da leggere vicino al focolare.
Nel 1974 pubblica “Scritti inediti - di Nicola Palumbo”.
Sempre nel ’74 “Venanzio Lupacchini – Litterata marmora…”, pubblicato nel
Bullettino Abruzzese di Storia Patria.
Dal 1976 al 1986 ancora sul Lupacchini pubblica
- gli atti delle “Celebrazioni per il Centenario della morte ” svoltosi a
Collimento il 26 ottobre 1975;
- “Rettorica ”;
- “V. Lupacchini – Epistolario”
- “ La poesia di V. Lupacchini “
- e in 725 pagine “ V. Lupacchini – tradizione e innovazione nel ‘700 fra
Abruzzo Napoli e Roma”.
Poi pubblica nel 1988 “ Diario e lettere alla famiglia di P. Marrelli “
e nel 1990 gli atti della giornata commemorativa di “ D. Properzi nel primo
centenario della nascita “.
Siamo 1991, Francesco decide di tornare a pubblicare una rivista,
probabilmente perché ritiene che è il modo migliore per avere un rapporto
più forte con Lucoli ed i lucolani, ma anche perché questo è il modo più
semplice per diffondere le informazioni storiche di cui ormai è in possesso.
Sulla copertina della rivista riporta un verso tratto dall’inferno di Dante:
-Poi che la carità del natio loco mi strinse, raunai le fronde sparte...-
quindi, costretto dall’amore che prova per il suo paese, sembra non poter
fare a meno di parlarne e metterne in risalto la valenza storica e culturale
.
Già nel primo numero pubblica un articolo con cui informa i lettori che nel
1986 don Filippo Murri ha pubblicato un testo edito da L. U. Japadre
intitolato “Lucoli – Profilo storico”, sottolinea in modo ben chiaro che sia
l’autore che l’editore sono lucolani, e risulta inequivocabile l’invito a
leggere i “nostri” libri dei “nostri” autori.
Lucoli, accoglie con gioia la pubblicazione della nuova rivista come ci
rivelano le prime righe della piccola rubrica dedicata alla lengua pizzuta:
- Caru Direttore, comme ‘olemo ice, so sintitu l’atra sera che se reparla
degliu paese nostro.E mme so refatte le lustrine.Urria esse della congreca,
comme fu pe’ Dai Monti di Lucoli.Che nne ici?.....
Così riprende vita un fermento a cui in molti partecipano attivamente.
Nel primo numero della rivista, Francesco rivolge un saluto alle
istituzioni, alle autorità ai collaboratori dai nomi illustri,e chiude
l’articolo rivolgendo un delicato pensiero a chi non c’è più, ma è sempre
presente.
-La Rassegna Lucolana s’inchina riverente su ogni tomba del Cimitero, nella
consapevolezza che molto spesso i morti sono più importanti dei vivi. Su
tutti loro vigila il memore pensiero di ciascuno di noi, sull’onda turgida
d’ una dolcissima preghiera.-
Questo è Francesco, sempre attento alle cose da insegnare ai vivi, ma tanto
accorto a ciò che ci lascia chi non c’è più, come testimonia la dolce e
malinconica poesia che pubblica nel decennale della morte del fratello
Olindo. PER OLINDO, NEL
DECENNALE
Abitare il cimitero. Viverlo. Respirarlo.
“E’ come andare al teatro”, mi dice Nella
ogni volta che la sorprendo a pulire le tombe
dei suoi cari.
Il cimitero. Tante maschere che
riprendono volto. La memoria “diviene”
Erinnerung. Si “fa” Erinnerung. Coglie i
sapori del ricordo interiorizzante.
Per Luigi è il trentennale. I “rami
spezzati” sono ancora della giovinezza.
L’anima si ferma di nuovo alla “fonte de
locusù”.
Vi hanno scritto:” Alla fonte ci sarà
sempre qualcuno”. E qualcosa.
Un uccello cinguetta l’entusiasmo
giovanile di Giulio. Ammutoliscono le
maschere a quel canto. Una feluca rapita ai
sogni del tempo. E a cuori infranti.
S’impone la tragedia. Occupa il centro
del teatro. Cuore di mamma che stringe il
cuore del figlio. Lina e Francesco. “Core de
nonna”!
Respira la terra. Le sue viscere scaldano
il grido di Claudio, pure lui reclamato da
altri orizzonti, come Cristina, come Amalia,
come Giuliana, come tanti altri che la penna
trattiene nella memoria che s’allontana.
C’è anche Sirio, il medico-amico dei
lucolani che si corruccia all’urlo strozzato:
“Curri Dottò, se sta a murì Francesco”!
Paolo, il “maresciallo”, regola il canto
di antichi sorrisi.
La sera si posa sul giardino profumato.
Le ombre, qui sono vinte da fasci di luce. La
luce.
Per Olindo, nel decennale, non sono
riuscito a dire neppure una preghiera.
Non ancora.
Mi suonano ancora nelle orecchie le parole che il parroco pronunciò
nell’omelia funebre:
- Piccolo con i piccoli, ma Grande con i grandi.-
Questo era davvero Francesco, e molti sono gli insegnamenti che possiamo
trarre dalla sua breve ed intensa vita; ed una delle sue doti maggiori credo
sia proprio l’umiltà.
Umiltà che dimostra fin da giovane, quando completati gli studi scrive
questa poesia:
SANDINA
Me so’ ttrattisu quasci ‘na mezz’ora
A chiacchiarà a lla piazza co’ Sandina,
ma pe’ ccapicci meglio, se nno’ stòna,
tè’ ottand’anni; dungue è ‘na nunnina.
M’à ‘ittu pianu pianu: “statte attento!
Tu mo scì ‘na perzona struituccia,
no’ ngi badà a èsse ‘nu portento
chè ttuttu se misura a lla fittuccia.
No’ nte nne àbbe, se tte ‘icio questo,
ji so’ gnorande, ma na cosa saccio:
bbisogna ‘olène bbene, che llo resto
Ddio lo dispone e passa a gliu sotacciu.
No’ nzo’ saputa ‘ice ‘na parola
E nne sarrìa ‘’ulute ‘ice tande,
ma ‘nu fattu –Sandì - me reconzola:
tu scì struita e ji so’ n’ignorande.
Grazie per
avermi ascoltato.
Maurizio Fiorenza |