Non sono di Lucoli...
di Giovanni Abate
Non sono di Lucoli, non sono abruzzese, sono romano, e nel 1989
avevo comprato un piccolo residence nel villaggio di Prato Lonaro.
Ho scoperto nei primi anni un mondo meraviglioso che non credevo
esistesse a un’ora di viaggio dalla capitale.
D’inverno sciavo sulle piste di Campo Felice, ma in primavera e in
estate vedevo sbocciare la natura nei boschi e nei prati dove con la
mia famiglia trascorrevo vacanze serene.
L’Aquila nel tempo è
diventata la mia seconda città, dove ci rifugiavamo ogni fine
settimana.
Ero affascinato dalla sua bellezza, l’eleganza tranquilla e mai
sfrontata.
Ma quello che amavo di più erano gli abruzzesi: uomini e
donne serie, di poche parole e di fatti concreti, e mi sono reso
conto che anche a Roma ero circondato da tanti figli d’Abruzzo,
ottimi amici e lavoratori come pochi altri.
Negli ultimi anni
avevamo lasciato il residence e ci eravamo trasferiti un una casa
ristrutturata in una frazione del paese.
E’ stata l’occasione per conoscerne la vita, fare nuovi amici,
vivere bellissime manifestazioni estive.
La notte del terremoto eravamo presenti anche noi. La prima scossa,
quella delle 10,30 ci ha terrorizzato, soprattutto per il boato che
l’ha preceduta.
Poi, consapevoli dello sciame sismico di cui ci parlavano da mesi,
abbiamo deciso di rimanere e andare a dormire.
Due ore più tardi, la seconda scossa è stata per noi un avvertimento
preciso.
Abbiamo deciso di tornare a Roma, perché nella propria casa
ci si sente comunque sempre più sicuri.
Siamo fuggiti di notte, e passando davanti alle finestre illuminate
delle case insonni, ho provato un senso di colpa e di vergogna nei
confronti di chi rimaneva in quel luogo insidioso.
Giunti a Roma abbiamo vissuto i venti lunghissimi secondi di scossa
ondulatoria, e abbiamo capito senza alcun dubbio cosa era successo.
La notte è trascorsa davanti al televisore e al telefono, cercando
di metterci in contatto con chi era rimasto nell’inferno.
Stavano
tutti fortunatamente bene e le case sembravano non aver subito gravi
danni.
Ma era impossibile riuscire a dormire.
Davanti agli occhi sempre la scena che non abbiamo visto, ma che era
facile immaginare.
Due giorni dopo, aperta l’autostrada, siamo
tornati a Lucoli.
Un paese in parte colpito, in parte miracolato.
Ancora una volta siamo rimasti colpiti dalla grande forza e dignità
degli abruzzesi.
Negli occhi il terrore di quella notte, ma nessun
pianto, nessuna lamentela.
Mentre la terra tremava ancora con
violenza sotto i nostri piedi, venivano da noi per offrirci riparo
in un luogo più sicuro.
Vi saluto tutti con grande affetto e spero
che torni presto la serenità nelle vostre famiglie.
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