Pubblichiamo un racconto che abbiamo
"scovato" navigando su internet.
Il racconto tratta di una inquietante storia sul nostro Monte Monito.
Se avete altre informazioni ed ulteriori dettagli sull'argomento inviateli al nostro
indirizzo di e-mail
QueNova@breadpapa.it così provvederemo a pubblicarli.
Le e-mail inviate dopo la pubblicazione del
racconto:
|
Il Diavolo di Monte Munito (Lucoli -
L'Aquila)
a cura di Calpus
A Lucoli, tranquillissimo paesino in
provincia di L'Aquila, si tramanda da secoli una storia o forse più
storie pressochè terribili. Intanto inizio col descrivervi la geografia
di questo paese. Esso si compone di due "sponde" se mi è concesso usare
questo termine. Una vallata, attraversata da quello che anticamente era
il fiume Rio (oggi diventato purtroppo torrente Rio) divide due parti di
questo comune, che effettivamente non esiste. Esiste infatti un comune
di Lucoli, che comprende numerose frazioni. Sulla sponda Ovest, troviamo
arroccate le "Ville di Lucoli", S.Andrea, S.Menna e S.Croce.
E' proprio
di quest'ultima che sto per parlarvi. Poco fuori dal paesino, si sale
per un sentiero scosceso e sassoso per Monte Munito, poco più di un
colle di 1118 m., su cui si trovano rigogliosi boschetti. In cima al
Monte, non molto tempo fa, credo intorno agli inizi del XX secolo, è
stata piantata una grande croce, che purtroppo oggi è stata sfigurata
dall'installazione di orribili antenne per la ricezione del segnale
televisivo. Nonostante ciò, il monte non ha perso la sua "configurazione
mistica". La croce infatti è stata piantata per un solo motivo: era
certo che su di esso ci fosse la presenza del demonio. Un demonio di cui
si dicevano e si dicono cose sconcertanti. A ulteriore riprova di ciò, posso citarvi il fatto che un comune
limitrofo di Monte Munito si chiama Tornimparte... Il nome dovrebbe già
suggerirvi il tipo di trattamento riservato da queste diaboliche
presenze sul Monte e nella vallata circostante. E se le persone
"tornavano in parte", erano pur sempre tornate. Sovente però i poveri
boscaioli non tornavano per nulla... E allora c'era chi pensava si
trattasse di lupi, chi di malattia e chi, secondo tradizioni
antichissime, tributava la scomparsa dell'individuo al maligno. La
convinzione di una connessione con le forze della natura o forze
esoteriche a Lucoli, risalirebbe secondo alcune ipotesi al Medioevo. Una
particolare geometria dei luoghi, farebbe pensare ad una sorta di
attività magica iniziata forse da anonimi gruppi massonici. La
disposizione dei luoghi secondo un certo ordine, farebbe presupporre che
un gruppo di "streghe" avessero scelto quei luoghi per i loro rituali.
Sin dal tempo dei Romani, si trovavano nella zona numerosi templi pagani
ma con l'avvento di S.Madre Chiesa, nel medioevo, il territorio di Lucoli
fu consacrato a Dio e la geografia diventò tutta "cristiana".
Sorsero
allora S.Andrea, Le Croci ecc. insomma tutti questi paesetti ai quali
accennavamo prima. Ma è lecito pensare che il riverbero pagano non
scomparve mai del tutto da quei luoghi, come è successo per moltissime
altre parti d'Europa. Lascio però alla vostra immaginazione ciò che
poteva accadere in secoli tanto bui. Per ottenere informazioni anche e
soprattutto emotive, vi consiglio vivamente di andare a visitare il
luogo in questione, totalmente libero da vincoli e visitabile al cento
per cento. Scoprirete guardandovi intorno e senza fretta, quale cammino
ha intrapreso l'uomo nel corso dei secoli per liberarsi dai mali
terreni, dalle tentazioni, talora interpretati da misteriose leggende su
satana e intraprendere la diritta via.
-
tratto dal sito "Dal tramonto all'alba"
http://www.daltramontoallalba.it/luoghi/montemunito.htm
-
_______________
Il Diavolo di Monte Munito
La risposta di Pasquale (14
ottobre 2006)
Ho letto con una certa curiosità "Il Diavolo di Monte Munitu".
Mi ha richiamato alla memoria ciò che noi ragazzini, "pecoraregli de 'na
ote", trovandoci a pascolare il gregge nella zona descritta dal
racconto, presi da una certa paura, eravamo soliti tracciare una croce
con una pietra appuntita su di un grande masso lì presente, in cui si
diceva fosse presente il diavolo.
Tracciata la croce con una certa fretta si fuggiva subito dal luogo.
Per quanto riguarda invece la grande croce di ferro piantata sulla
sommità del Monte, va precisato che non ha alcun riferimento al diavolo
presente nella zona! Infatti la croce vi fu collocata (1935?) in seguito
ad una Missione popolare predicata dai Padri Passionisti nelle Ville di
Lucoli, (o forse anche nelle altre frazioni) a ricordo della Missione
stessa.
Un ricordo simile è la croce che si trova poco dopo la Spogna, al bivio
che porta a S. Giovanni e un'altra a "Capu S. Croce".
Ma di questo tipo se ne incontrano anche altrove. Ancora oggi i
Missionari Passionisti, e forse anche altri istituti, usano lasciare una
croce o un segno sacro nei punti più nevralgici del paese che hanno
evangelizzato.
Penso che ... il diavolo si trovi proprio male in quella zona.
E poi che dire di tutti quei segni della fede "ammonte alle Cruci" in
località... S. Croce?
Torna su
__________________
Il Diavolo di Monte Munito
La risposta di GQG (17
ottobre 2006)
E’ noto che anche Lucoli è stato luogo di
insediamenti romani, e in quanto tale non poteva non avere templi
pagani, ne è testimonianza anche l’antica chiesa di S. Menna, che
secondo gli esperti del tema, prima di essere luogo di culto cristiano,
quindi chiesa consacrata, sarebbe stato un edificio adibito a culto di
antichi riti dei pagani.
A questo proposito Calpus, mi consenta di contestare quanto afferma sul
riverbero pagano che avrebbe lasciato nei nostri luoghi credenze e culti
diabolici, in quanto il diavolo, o maligno, è la contrapposizione del
bene, quindi di Dio, e con l’avvento del cristianesimo si parla
espressamente di Lucifero, divenuto oggetto di tante storie e racconti
più o meno spaventosi.
Certo è che la non conoscenza di eventi inspiegabili, o la volontà di
creare mistero attorno a dei fatti che accadono involontariamente o
volutamente, porta a creare racconti che, passando da uno all’altro,
riescono anche a diventare storie di una certa importanza.
Tanti sono gli aneddoti pervenuteci dai nostri avi che, si dilettavano a
raccontare ai bambini, durante le serate trascorse accanto al fuoco, un
po’ per passare tempo, ma anche per cercare di tenere a bada la
curiosità dell’età giovanile ed evitare che si combinassero guai durante
le scorribande giornaliere.
Così, per non lasciarli andare in giro di sera tarda per le strade dei
paesi a far danni era molto meglio star dentro casa per evitare
l’incontro con "ju tronte", ossia il diavolo, che passava per i paesi
facendo razzia di persone e soprattutto di quatrani cattiji, che
venivano portati via in catene, chissà dove, probabilmente all’inferno,
dicevano i nonni.
C’era poi l’obbligo di non andare in luoghi pericolosi come ad esempio
Cottorò’, dove c’era una "dannata" tremenda che faceva cose così
terribili da non poter essere neanche raccontate.
Che dire poi dei tanti luoghi dove non si poteva passare perché si
rischiava di incontrare ed essere aggrediti dalla "locca cogli pucini",
ma anche dagliu "canucciu", o la "crapetta" e "l’anima
sperza", e chi più ne ha più ne metta.
Queste storie poi, a volte diventavano ancora più credibili perché
magari succedeva qualcosa, come accadde a zi’ Carlucciu, che ormai già
giovanotto e fidanzato a Lucoli Alto, tornava baldanzoso a tarda sera
felice d’aver passato un po’ di tempo con la promessa sposa, quando
improvvisamente dovendo per forza percorrere il tratto di strada dove
pare che ci fosse "ju canucciu" si sentì trattenuto; una gamba
era bloccata da qualcosa che non riusciva a vedere, sicuramente "ju
canucciu". Con tutta la forza che aveva in corpo, cercò di liberarsi
gridando “Lassame, lassame!”, finchè il pantalone si strappò e poté
correre via quasi volando giù per i prati e arrivando a casa in men che
non si dica.
Zi’ Carlucciu, però, non si diede per vinto. Il giorno dopo tornò sul
luogo dell’aggressione, e trovò un pezzo del suo pantalone nuovo,
attaccato ad una radice di un albero, ma solo al pensiero degliu "canucciu"
aveva rischiato un infarto secco, ma naturalmente la versione ufficiale
dopo lo scampato pericolo restò che l’aggressione era stata messa in
atto dagliu "canucciu".
C’erano poi "le jane", oscuri personaggi diabolici di sesso
femminile, a cui credevano davvero, soprattutto le nonne e le mamme, in
quanto pare facessero del male ai neonati, e allora si riempivano le
culle di immagini sacre per tenerle lontano.
Questa credenza nacque perché, un tempo se non si era di tempra forte
spesso si rischiava la morte. Non c’erano pediatri, né medici molto
esperti, ma soltanto azzeccagarbugli che curavano i malati con intrugli
non sempre efficaci preparati da loro e soprattutto non c’erano soldi
per consultare medici più eruditi, così, un bimbo appena nato un po’
deboluccio, che non cresceva ma magari deperiva anche solo perché il
latte della madre non era buono o era scarso, portava a credere che
fossero le "jane" a succhiare dal malcapitato la linfa vitale del
piccolo corpicino inerme.
Si potrebbe continuare fino a scrivere un libro con queste storie e
racconti a volte nati da pura fantasia, a volte da eventi inspiegabili,
che a dire la verità a me personalmente piacciono perché mi affascina
sentire gli anziani raccontare e conoscere la cultura che ci ha
preceduti e formati, ed è bello scoprire con quanta fantasia l’uomo ha
vissuto, magari raccontando storie strane, ma che sicuramente gli hanno
impedito di vivere passivamente davanti ad una scatola che chiamiamo
televisione e che forse ci sta rendendo muti e incapaci di contatti
umani.
Torna su
______________
Il Diavolo di Monte Munito
La risposta di Mizzi (28
ottobre 2006)
Ho letto l’intevento di Calpus sul "Diavolo di Monte Munito" e colgo
l’occasione per infrangere virtualmente un giuramento fatto sei anni fa
e raccontare la mia esperienza.
Non so sei sia pertinente o meno, poiché Calpus fa esplicito riferimento
alla figura del maligno, ma dato che si parla di eventi inspiegabili,
voglio testimoniare come (crocevia o meno di influssi malefici) Lucoli
sia stato protagonista di uno strano avvenimento.
Era il 7 maggio del 2000 quando, insieme a tre amiche, entrai per
l’ennesima volta dentro a Palazzo Cialente, che si trova a Collimento.
Non cercavamo l’avventura, perché eravamo abituate a stare dentro quella
vecchia casa diroccata e pericolante. Passavamo il tempo chiacchierando
e ammirando come quattro mura aperte agli spifferi ed esposte a ogni
genere di intemperie possano risultare ancora tanto belle, quando
abbiamo sentito dei passi e ci siamo nascoste. È stato in quel momento
che abbiamo sentito una cantilena e abbiamo avuto tutte e quattro la
stessa visione. Ovviamente non posso garantire per la sincerità delle
altre tre protagoniste, ma garantisco per la mia.
Una volta uscite da lì ci siamo scambiate le opinioni e i pareri,
terrorizzate. Io avevo visto quello che avevano visto anche loro.
Inoltre, prima dell’accaduto, avevo scritto su un muro con un pennarello
rosso NOI SIAMO QUI PER RESTARE.
E avevo pulito la punta del pennarello, che si era impolverata tutta,
con un fazzoletto di carta. Il pomeriggio seguente il fazzoletto,
rimasto nella tasca della mia maglia, era pulito. In preda al panico
abbiamo chiesto spiegazioni al prete (a chi avremmo potuto rivolgerci
altrimenti?) e lui ci ha consigliato di bruciarlo. Così è stato. E
abbiamo scelto di non parlarne più.
Dopo aver bruciato il fazzoletto, ho scritto quanto segue, per non
dimenticare.
Quell’afoso pomeriggio stava soffocando i nostri pensieri.
“Che cosa facciamo?!”
La vecchia casa ci guardava dall’alto delle sue finestre semidistrutte,
sembrava volere un po’ di compagnia.
Povera casa, protagonista di eventi passati
( che, però, sembrano non passare mai...),
e regina di un piccolo paesino di montagna,
“Adesso è solo un edificio pericolante d’ostacolo al progresso!”
Bastardi!
Bastardi, voi tutti,
voi che non c’eravate...
Voi che non sapete,
tacete!
“Che si fa?!”
“Si entra!”
Senso dell’avventura o sciocche bravate?!
Non lo sappiamo neanche noi,
ma ciò che abbiamo udito non scorderemo mai.
Entrammo in quattro,
quattro moschettieri,
come le stagioni,
come “I quattro dell’Ave Maria”.
Animo tranquillo, mente sgombra,
sarà l’abitudine.
“Questa casa ci ha visto crescere,
no, non può farci del male, non può spaventarci,
non a noi, non oggi...”
“Qui dentro s’incontrano passato, presente e futuro,
si cerca l’avventura, si trovano risposte a molti perché,
e soprattutto, si trova un po’ di pace,
per stare soli con se stessi,
lontani anni luce da tutto e tutti.”
Zitte zitte, salimmo ad uno ad uno gli scalini,
due di qua, due di là,
“Andiamo di sopra?”
“No torniamo di sotto.”
“Attenzione! Qui è rotto!”
girammo come sempre tutta la casa.
Al nostro silenzio si mescolò ancora una volta il misterioso sospiro del
vento.
No, non fa paura, anzi fa compagnia.
Arrivammo al terzo piano,
allegre calme e spensierate.
Bisbigliavamo e ridevamo fra noi,
quando sentimmo dei passi venir su per le scale.
Erano passi stanchi e pesanti,
che facevano vibrare la stanza dove ci trovavamo come una corda di
chitarra pizzicata con estrema decisione,
e rimbombavano come tonfi sordi fra quelle quattro mura,
sempre più prolungati, più interminabili.
Man mano che si avvicinavano sentimmo anche un respiro,
era il respiro di chi crede di saperne di più,
il respiro di chi si sente (o è davvero?!) il più forte.
Spaventate?! Insomma. Credevamo si trattasse dell’ennesimo vecchio
petulante,
che veniva a farci la solita stancante predica.
“Nascondiamoci presto!”
In un attimo raggiungemmo la stanzetta che fa angolo, entrammo ed
inserrammo l’uscio cadente.
La stanza era così è piccola che c’entravamo a malapena noi quattro e
due bauletti di legno vuoti, saccheggiati da quel dì che fu.
La finestrella era aperta ed i vetri polverosi appoggiati sul muro,
pressoché distrutti.
M’affacciai, forse per distrarmi, o forse per cercare una via d’uscita.
Non m’ero mai accorta quanto fosse alta la vecchia casa.
All’estremità opposta c’era un buco che lasciava passare il vento, che
ora sembrava
esserci diventato tremendamente avverso.
Il silenzio si era fatto immensamente pesante,
i nostri respiri soffocati stavano diventando molto affannosi,
i passi, che perpetuavano sulle scale, erano sempre più minacciosi,
e, ahimè, sempre più vicini.
“Schhh! E’ qui, davanti alla porta!”
I passi avevano raggiunto l’uscio, ma con nostro stupore,
sbirciando dal buco della serratura, ci accorgemmo che quei passi così
terrificanti non avevano un padrone.
Erano lì, proprio davanti a noi, ma non c’era nessuno.
All’improvviso a quel rumore fantasma si unì una cantilena di morte,
un lamento di donne soffocate da dolore.
Una visione offuscò la nostra mente, rendendola incapace di pensare.
Tante donne in abito nero recitavano qualcosa davanti ad una bara,
e la luce delle candele faceva loro da sfondo.
Recitarono una cantilena che durò pochi minuti,
ma che sembrò durare quasi due secoli.
Era facile da capire, perché era espressa in italiano,
ma le parole ci attraversavano l’anima e scivolavano via,
proprio come la vecchia casa.
Ci guardammo attonite, smarrite,
e, senza proferir parola alcuna,
uscimmo quasi di corsa dalla stanza,
(dove avevamo pensato di dover rimanere per sempre)
e poi dalla casa.
Nessuna di noi osò voltarsi.
Cos’era successo?! Che cosa avevamo sentito?!
Era un sogno o la realtà?
Chi può dirlo?!
Ma lasciamo stare, forse è meglio...
(Collimento, addì 7 maggio 2000, P. A. E. N.)
Torna su
__________________
|